Giovanni Fattori   (Pagine 18 )      Fonte : Ritratti d'Artisti Italiani - 1911

{\rtf1\ansi\ansicpg1252\deff0\deflang1040{\fonttbl{\f0\fnil\fcharset0 Times New Roman;}{\f1\fnil Times New Roman;}{\f2\fnil\fcharset0 Arial;}} \viewkind4\uc1\pard\sb2268\sa1134\sl240\slmult1\qc\lang16\f0\fs28 Giovanni Fattori. \par \pard\fi283\sl240\slmult1\qj\f1 --\f0 Quali sono stati i primi soldati che ho studiati? I francesi. Mi rincresce: furono proprio i francesi, nel 1859. Non mi dovetti scomodar di molto. Venne apposta qui alle Cascine tutto il quinto corpo d'esercito, sotto Girolamo Napoleone. Li vuol vedere? Giovannino, prendi gli album sulla scansia. S\'ec, a Magenta e a Solferino fecero sul serio. Ma qui in Toscana l'idea loro era di mettersi a sedere sulla sedia del Granduca che era anc\'f3ra calda. E poco dopo il papa benediceva il suo Lamorici\'e8re. Qui lo chiamavamo \i La morisse jeri, La morisse jeri.... \par \i0 Giovanni Fattori \'e8 seduto nel mezzo del suo bello studio al pianterreno dell'Accademia fiorentina. Alle pareti e sopra un tramezzo che giunge a met\'e0 della stanza, grandi quadri di sobrio colore, con soldati e cavalli, butteri e buoi, tutti in movimento, cos\'ec agitati da un'energia impulsiva che, a voltarsi, par di ritrovare uomini e bestie disposti in un altro gruppo o fuggiti lontano sulla polvere o sull'erba rada e riarsa, e paesaggi di Maremma e di Toscana fissati in linee essenziali, ritratti di paesi che sembrano d'un giottesco o di un quattrocentesco intorno a Masaccio ed a Piero, dove i monti e le piagge sono scarniti come in un'anatomia e alti alberi di poca fronda su pei declivii e per le ripe si piegano al vento come ruvide capigliature sopra una fronte rugosa, dove l'azzurro e le nuvole accendono o spengono gli occhi dei laghi, dei ruscelli, delle pozze, del mare lontano. Se i giovani pittori italiani li conoscessero tutti, potrebbero far a meno d'andar fino in Francia ad adorare C\'e9zanne.... \par Il vecchio pittore livornese (\'e8 nato nel 1825, non nel '28 come dicono le biografie) \'e8 seduto sopra una poltrona rossa, vestito di nero; le mani rosee e nodose riposano sulle ginocchia, la favella \'e8 piana ed arguta, la memoria pronta, gli occhi neri vivaci e cos\'ec mobili tra le rughe che pare vogliano districarsene per mostrar bene tutta la giovent\'f9 che \'e8 nel cuore, i baffi candidi spioventi sul gran mento.... Oh le burle e i frizzi del caff\'e8 Michelangiolo, cinquanta e pi\'f9 anni fa, sul pizzo del Cabianca, sulla bocca e i denti gialli del Signorini, sugli occhiolini del Rivalta, sul gran naso di Nino Costa, sulla bazza del Fattori! Quel caff\'e8 Michelangiolo di cui ha scritto la storia Telemaco Signorini, vide tra il '48 e il '70 passare e discutere e predicare, accanto a tutti gli artisti di Toscana, Domenico Morelli e Giovanni Costa, Saverio Altamura e Vittorio Avondo, Camillo Boito e Bernardo Celentano, Enrico Gamba e Federigo Pastoris, Antonio Fontanesi e Alfredo d'Andrade, Giovanni Boldini e Giuseppe de Nittis, Luigi Serra e Achille Vertunni.... Ma, si sa, noi siamo in continuo progresso, e guai a dire che un'accolta d'artisti come quella, oggi non la si trova pi\'f9 nemmeno dentro un catalogo d'esposizione. \par Il fedele \'abGiovannino\'bb ha portato un pacco di albumetti legati in tela, in pelle, in cartone, li ha disposti sopra uno sgabello davanti al maestro, e questi vi fruga con le mani tremanti, poi me ne apre e me ne porge uno dove belle dame in crinolina succedono a soldati col chep\'ec a scappavia e artisti con cappelloni da congiurati fan fronte a zerbinotti dalla tuba altissima, dai capelli gonfi e ricciuti sotto le piccole tese, dai soprabiti a vita con le faldine corte a mille pieghe. Ecco un ritratto di Diego Martelli giovane, grasso, sodo, con la barbetta a punta, e di Maurizio Angioli, il padre di Diego Angeli, con lo stesso gran naso e la stessa eleganza e lo stesso amore per l'arte. \par \pard\fi283\sb283\sl240\slmult1\qj\f1 -\f0 Lavoravo allora a un quadro che \'e8 qui in galleria, rappresentante Maria Stuarda che visita il campo di battaglia di Crookstone in Iscozia e vi trova morto un suo adoratore, e avevo finito in quelli anni di dipingere un'Ildegonda dalla novella del Grossi, e per conto di un inglese un quadro sui figli di non so pi\'f9 che Edoardo strappati alla madre. M'impazzivo a trovare i costumi. Pel cappello a piramide della regina avevo fatto fare un bussolotto di latta e ogni mattina lo coprivo di seta e lo ficcavo in testa alla modella. Ma di notte.... che vuole, dormivo l\'ec a studio e non possedevo che una sedia, una branda, un tavolino e un cavalletto, e di quello scatolone ben stagnato mi servivo per tutte le occorrenze, senza voler per questo offendere la pittura storica.... I francesi cos\'ec, se arrivarono troppo tardi per salvare la Toscana che s'era salvata da s\'e8, arrivarono in tempo per salvar me dalle regine inglesi. Le avevo appena disegnate dal vero in tutte le pose, che il governo provvisorio e Ricasoli bandivano con un solo decreto (glielo ricordi al ministro dell'Istruzione d'adesso!) i concorsi per due statue equestri di Vittorio Emanuele e di Napoleone, per quattro statue di grandi toscani, per quattro quadri storici, per non so pi\'f9 quanti ritratti del Gioberti, del Balbo, del Berchet, del Pellico e del Giusti e per quattro quadri di battaglie sulle giornale di Curtatone, di Palestro, di San Martino, e di Magenta.... Non resistetti. Presi moglie e partii per Magenta. S\'ec, presi moglie perch\'e8, vede, per lavorar tranquilli bisogna essere ammogliati. Mi sono ammogliato tre volte e adesso che son vedovo, non so, sar\'e0 anche l'et\'e0, ma non lavoro pi\'f9 con la lena d'una volta.... L'avevo conosciuta a Firenze, mentre c'era il colera. Era bella, coraggiosa, affettuosa. I miei a Livorno erano contenti. Ci sposammo, c'imbarcammo per Genova, e via a Magenta a studiare il paese e a volerci bene. Fu il nostro viaggio di nozze. \par Fattori tace, chiude l'album che sfogliava distrattamente mentre parlava e ci sovrappone le due mani come fanno le credenti sovra un libro da messa finite le preci. Poi riprende col suo sorriso cordiale che pare voglia mitigare il fervore delle parole: \par \pard\fi283\sl240\slmult1\qj\f1 -\f0 Perch\'e8 allora, sa, noi l'Italia l'amavamo come una sposa. Che anni erano stati quelli fra il '46 e il '49 a Livorno! Dico a Livorno perch\'e8 a Firenze nel '49 furono tanto buoni pel Granduca che lo richiamarono subito e solo quando se lo videro arrivare vestito da generale austriaco, cominciarono a capire.... A Livorno, invece! Io, \'e8 vero, potei far poco. Quando si seppe che gli austriaci s'avvicinavano, i miei mi chiusero in casa. Tutta la notte, ricordo, udii dal quarto piano della nostra casa sui Fossi, comitive di popolani intonar per le strade la canzone di Mameli e svanir gi\'f9 verso le mura; ma all'aurora cominciarono le cannonate. In quei giorni disegnavo da una stampa accademica un combattimento di greci e di troiani, qualche cosa che dev'essere nell'Iliade d'Omero, e anche quella mattina disegnavo.... Una cannonata, poi un'altra, poi lo scoppio delle granate.... Piantai l\'ec sulla carta l'elmo d'Agamennone, afferrai un canocchiale e corsi sul tetto a un abbaino. Di l\'ec si scopriva tutta la pianura e lontano presso il Camposanto Nuovo si scorgevano le file dei soldati e i cannoni. Vedo anc\'f3ra un ufficiale che seduto fumava tranquillamente e ogni tanto alzava la mano e i cannoni sparavano. Poi gli austriaci entrarono per via Barra e avanzando tiravano sempre qualche colpo alle finestre che vedevano aperte. Una granata scoppi\'f2 sul mio tetto, frantum\'f2 i vetri dell'abbaino e io guardavo anc\'f3ra. Dalla parte opposta della strada deserta vidi un uomo curvo, le braccia conserte sul petto, strisciare lungo il muro come chi si ripara dalla pioggia e scomparire, chi sa, forse per andar a morire. \par Gli austriaci si accamparono in Piazza Grande di faccia al Duomo, poi si sbandarono e salirono per le case. Vennero anche da noi e mia madre dovette dar loro dei fiaschi di vino. All'improvviso le fucilate ricominciarono, e quelli a correr gi\'f9 a precipizio coi fiaschi di vino in mano. Alcuni audacissimi capitanati da un prete erano saliti sul campanile e di lass\'f9 avevano sparato sugli austriaci sotto nella piazza. Furono fucilati tutti, l\'ec per l\'ec. Che giornata quell'undici di maggio! E che eroi! Mi ricordo d'un operaio della marina, un maestro d'ascia, pallido, piccolo, melanconico e fanatico che era soprannominato il Gatto ed era stato, dicevano, segretario di Guerrazzi. L'avevo veduto in certe riunioni segrete che si tenevano, di l\'e0 d'un viale sui Condotti, in uno stanzone pi\'f9 in basso della strada, umido e buio, con un tavolino nero in fondo e sul tavolino due candele di sego tra le quali spiccava il volto raso e giallo del Guerrazzi e accanto al Guerrazzi, sulla sinistra, pi\'f9 indietro, in penombra, era sempre lui, il Gatto. Ebbene, egli fu tanto impressionato da quel ritorno dei \'abtedeschi\'bb che la sera stessa and\'f2 da solo ad assaltare una sentinella austriaca e fu arrestato e fucilato la mattina dopo. \par Le fucilazioni si facevano sul piazzale di Porta a Mare. E una sera eravamo al Caff\'e8 della Posta e parlavamo sottovoce delle disgrazie d'Italia quando entr\'f2 uno pallido come un morto, ch\'e8 una sentinella gli aveva strappato dal petto un mazzolino di fiori bianco rosso e verde. Uno dei presenti, un ragazzo, si alz\'f2, afferr\'f2 dalle mani d'uno di noi un altro mazzolino come quello, ch\'e8 quasi tutti ne avevamo uno, se l'infil\'f2 all'occhiello, usc\'ec, torn\'f2 alla Granguardia davanti allo stesso soldato e quando questi si avanz\'f2 per strappargli i fiori, lo fredd\'f2 con una coltellata. Anch'egli fu fucilato. Potrei andare avanti un giorno intero a raccontarle di queste cose. Qualcuna anche l'ho scritta, alla meglio, per mio ricordo. Ma ella gi\'e0 pu\'f2 immaginare con che cuore mi mettessi a dipingere nel '61 il \i Campo italiano alla battaglia di Magenta\i0 , e poi l'\i Attacco alla Madonna della Scoperta comandato dal general Lamarmora\i0 che \'e8 a Livorno, e poi \i Il principe Amedeo ferito a Custoza\i0 che \'e8 a Brera.... La lista \'e8 lunga. Trent'anni dopo dipingevo anc\'f3ra la \i Battaglia di Custoza\i0 e seguivo a piedi ogni anno le grandi manovre.... \par \pard\fi283\sb283\sl240\slmult1\qj Egli s'\'e8 acquietato parlandomi dei suoi quadri militari come se in quelle tele avesse sciolto un voto di quei giorni sacri. Dietro a lui presso la porticina dello studio sopra una cassapanca di legno \'e8 seduto \f1 -\f0 e da quanti anni lo vedo l\'ec, in quella posa, guardia fedele! \f1 -\f0 un manichino vestito da tenente d'artiglieria con una vecchia divisa di trent'anni fa, un berretto troppo piccolo, la giubba corta e larga, i calzoni a cavaturaccioli. E il manichino dai pomelli rosei tien le mani composte sul grembo e il torso un po' piegato in avanti come il buon maestro qui sulla sua poltrona. Par che lo imiti alle spalle, \f1 -\f0 riflesso dei suoi sogni, compagno muto nel quale in tanto tempo di convivenza sia penetrata un po' di quella vita l\'ec accanto, esuberante e italianissima e schietta.... \par E un altro giorno gli ho chiesto di parlar dell'arte sua. Anche allora m'ha dato qualche scartafaccio misterioso in cui per preghiera di critici e d'amici ha segnato senz'ordine qualche ricordo saliente. Ma io pur sfogliando il manoscritto ho voluto far parlar lui. \par \f1 -\f0 L'arte? Dica la fame. Per tanti anni, arte e fame le abbiamo vedute a braccetto che abbiam finito a credere che chi dipingeva a stomaco pieno, doveva per forza dipingere male. Gi\'e0, a me il commercio in arte \'e8 sembrato sempre una ladroneria civilizzata. E la cortigianeria e l'intrigo a danno dei colleghi, li ho sempre disprezzati e spero di finire la vita mia cos\'ec. E poi, dia retta a me, agli artisti giovani la fame fa bene. Quando mio padre mi accompagn\'f2 a Firenze la prima volta nel 1846 in diligenza per la via di Pescia e di Pistoia e mi mise a dozzina in una casa di via Condotta e mi fece iscrivere all'Accademia, alla scuola del professor Bezzuoli, io che in Accademia non volevo frequentar che la scuola del nudo e non avevo un soldo per prendermi un modello e tanto meno per prendermi uno studio, sa che feci? Mi comprai un albumetto e mi misi in mezzo alla strada a disegnar tutto quello che passava senza pensare alla composizione e all'estetica: e ho continuato per anni, e lo farei anc\'f3ra, e in quello studio dal vero ho imparato tutta l'anatomia e tutta la prospettiva che il professor Bezzuoli non riesciva a insegnarmi. Se fossi stato ricco, chi sa, anc\'f3ra dipingevo Maria Stuarda! \par \pard\fi283\sl240\slmult1\qj Oggi sono professore d'Accademia anche io e non me ne lamento ch\'e8 di pittori ne ho fatti anche io, e di valore, e mi vogliono bene; ma il maestro non pu\'f2 far altro che aiutare con consigli l'ingegno naturale e deve badare, pi\'f9 che ad aiutarlo, a non viziarlo. E se l'ingegno naturale e la passione non ci sono, \'e8 inutile perder tempo. E questo \'e8 il torto delle Accademie. Guardi il concorso pel pensionato. Mandano da Roma il tema e i giovani migliori fanno fiasco perch\'e8 devono dipingere quello che non sentono e che non amano. Lascino che ogni concorrente si scelga il tema che vuole, e allora vedranno! Ma queste cose \'e8 inutile dirle.... Torniamo alla fame di quegli anni. Prima la mia stanza la divisi col Mosti, un giovane livornese di grande ingegno che mor\'ec di tubercolosi, e si lavorava tutta la notte con due candele, una pel modello \f1 -\f0 di gesso, s'intende, \f1 -\f0 e una per noi. Poi la divisi con uno scultore, Giovanni Paganni che \'e8 morto a Montevideo. La moglie d'un fiaccherajo, una bella bionda che s'era innamorata di me, ci veniva ogni sera a far la minestra di magro e a rigovernare un poco. Per fare economia pensammo di comprare tutt'un sacco di patate e di tenercelo l\'ec in stanza. Per qualche tempo fu un'orgia di patate lesse, fritte, arrostite. Ma la stanza era umida e un bel giorno le patate si misero a buttar fuori tanti occhi verdi, con l'intenzione, forse, di moltiplicarsi, e dovemmo, povere patate, rinunciare a mangiarle. Fu una bella perdita. Anche la stanza era difficile a trovarsi perch\'e8 era difficile pagarla. \par Ecco, chi non sa che significhi aver pagato finalmente, per tutt'un mese, la pigione d'una stanza dopo settimane di vagabondaggio, non sa che significhi la propriet\'e0. Io, quando ci riescivo, diventavo matto, e per affermare la mia propriet\'e0 saltavo, ballavo, passavo le mani sui muri. Una volta finii a sputar sulle pareti pi\'f9 alto che potevo per provarmi che la stanza era mia mia mia e che l'avevo pagata! E poi mi domandano perch\'e8 scelgo sempre soggetti tristi che nessuno compra e non faccio dei quadri allegri! Ma, per Dio.... \par Ma a lei questo forse non importa, e le pazzie che facevo in Accademia quando spegnevo i lumi e riempivo d'ogni ben di Dio, e non solo di Dio, le sciabole dei veterani che vi facevan da custodi e versavo la brocca dell'acqua nella stufa, le ha stampate gi\'e0 Telemaco Signorini, e non sta bene alla mia et\'e0 raccontarle anc\'f3ra, proprio qui in Accademia.... \par Il mio liberatore, e non solo mio, fu Nino Costa. Gi\'e0 negli anni addietro era venuto il Gastaldi da Torino e m'aveva condotto per forza in campagna a far del paesaggio, lasciando che il Pollastrini in Accademia gridasse che io ero un matto e un rivoluzionario. Gi\'e0 era venuto nel '54 Morelli a entusiasmarci col suo quadro \i I freschi fiorentini\i0 . Ma quando Felice Tivoli mi condusse a studio Nino Costa e questi vide un quadrone di storia medicea che cominciavo allora con mille stenti e mi url\'f2: \f1 -\f0 Ma tu sei un uomo o non sei un uomo? E non ti accorgi che tutti questi t'imbrogliano? \f1 -\f0 ricevetti un'impressione tale che non la dimenticher\'f2 mai. E fu per lui che cominciai la \i Battaglia di Magenta\i0 e fu per lui che vinsi e non volli far pi\'f9 che un'arte libera e non ebbi pi\'f9 fede che nei soggetti contemporanei, nei soggetti della nostra vita, e lasciai gli antichi agli antichi che almeno li conoscevano di vista.... Eran gi\'e0 passati cinque o sei anni da quando Cencio Cabianca aveva dipinto a Porta alla Croce un maiale nero contro un muro bianco, e ci aveva mandato tutti in visibilio. Ma la rivoluzione \'abdella macchia\'bb solo dopo la venuta di Nino Costa a Firenze divent\'f2 pi\'f9 cosciente, pi\'f9 ordinata, pi\'f9 feroce, pi\'f9 irresistibile. Poveri \'abmacchiajoli\'bb! Signorini, Borrani, Sernesi, Cabianca, Banti, Lega, Abbati: tutti morti... Ci resto io, ed \'e8 poco, poveri amici miei... Ella conosce gli scritti di Adriano Cecioni che adesso Gustavo Uzielli ha raccolti in volume, e il \i Gazzettino delle arti\i0 che \'e8 del 1867, l'anno in cui io dipinsi le \i Macchiajole\i0 : la storia e gl'ideali dei macchiajoli son tutti l\'e0 ed \'e8 inutile che glieli ripeta. \par Tutte le estati ci si radunava a lavorare insieme a Castiglioncello nella villa del povero Diego Martelli che \'e8 stato un fratello per tutti noi. Che felicit\'e0! Che lavoro! Fu l\'ec che m'innamorai della Maremma. Ma non creda che, perch\'e8 facevamo una rivoluzione tanto seria, fossimo diventati tutti ricchi e tutti savii. Per quanti anni, andando a mangiare col Signorini e col Cannicci dalla sora Zaira in via Parione, ho dovuto ordinare una porzione \'abdi lesso ciuco\'bb. \f1 -\f0 E che sia molto indigesto, sora Zaira! \f1 -\f0 Contro i preti poi e i moderati ce l'avevamo sempre. Nello stesso studio in cui era venuto e tornato Nino Costa, un sabato santo buss\'f2 un prete col chierico e l'acqua santa per la benedizione. Avevo la modella nuda sul palco, ma con le autorit\'e0 s'ha da esser cortesi: \f1 -\f0 Si accomodi, si accomodi! Benedica, benedica! \f1 -\f0 Il prete entr\'f2, scapp\'f2, e non \'e8 tornato anc\'f3ra.... \par \pard\fi283\sb283\sl240\slmult1\qj Questi ricordi Giovanni Fattori me li ha dettati in molte volte e tanti altri me ne ha dati bell'e scritti su uomini e su cose, sui suoi trionfi e su quelle che egli chiama \'able amichevoli persecuzioni\'bb dei colleghi sulle sue acqueforti sobrie e rudi delle quali \'e8 vergogna che lo Stato non abbia una raccolta completa, sui suoi quadri di battaglia e di maremma sparsi ormai per l'Italia e pel mondo \par \pard\fi283\sl240\slmult1\qj\f1 -\f0 Uno ne ho anche in fondo al mare, il \i Mercato di cavalli a Roma in piazza Montanara\i0 ; ch\'e8 tornando dall'esposizione del 1876 a Filadelfia se lo son preso i pesci con tutt'il bastimento. \par Ma degli uomini Giovanni Fattori non ha un'opinione consolante. In fondo, da tutti i suoi quadri emana una tristezza istintiva che in certi paesaggi e in certe scene contadinesche assurge a una solennit\'e0 semplice e larga, degna\tab d'un \'abprimitivo\'bb. \par Ha pochi amici e li adora. All'egoismo degli altri s'\'e8 abituato, dice, \'abcome alla pioggia d'inverno\'bb. Ma questo suo pessimismo balza fuori da certe sue opere pi\'f9 piccole e pi\'f9 raccolte col vigore d'un epigramma macabro. E chi ha veduto lo \i Staffato\i0 solo sulla strada fangosa trascinato verso la bufera e la morte da quel cavallo nero, o il \i Pro Patria mori\i0 dove verso un soldato morto sanguinolento abbandonato presso una pozza d'acqua fangosa grufola una mandria di porci, ha dovuto pensare \f1 -\f0 dice bene il P\'e0ntini che del Fattori \'e8 il pi\'f9 accurato biografo \f1 -\f0 alla satira fiera dei mali della guerra di Francisco Goya. \par Anche l'altro giorno ho picchiato l\'ec sul fianco dell'Accademia alla porticina sui cui stipiti ogni amico ha scritto o inciso un messaggio e Renato Fucini ha improvvisato: \par \pard\li1134\sb113\sa113\sl240\slmult1\fs24 E tre d\'ec ci tornai. Sempre nessuno! \par Poscia pi\'f9 che il dolor pot\'e8 il digiuno. \par \pard\fi283\sl240\slmult1\qj\fs28 Il maestro era l\'e0 sulla sua poltrona rossa, e nello studio vicino due allieve lavoravano alacri e fresche nei grembiuloni bianchi. \par \f1 -\f0 A che pensa, professore? \par \f1 -\f0 Pensieri filosofici! \f1 -\f0 m'ha detto ridendo e accarezzandosi il mento: \f1 -\f0 Ho udito stamane un fiaccheraio che bestemmiava il suo solito \i Dio c....\i0 Quell'uomo non conosce i cani che son generosi riconoscenti e fedeli. \i Dio c...\i0 , vede, \'e8 un'invocazione all'Eterno. A dirgli \i Dio uomo\i0 , questa s\'ec, sarebbe una bestemmia, e grossa! \par \pard\fi283\sb283\sa567\sl240\slmult1\qj\fs24 luglio, 1908. \par \pard\fi283\sl240\slmult1\qj\fs28 Il 30 agosto 1908 Giovanni Fattori moriva in Firenze. La sua salma fu portata a Livorno e il pi\'f9 caro discepolo ch'egli ebbe, Plinio Nomellini, parl\'f2 allora di lui e dell'arte sua con un eloquente fervore. Dal discorso del Nomellini, togliamo questa viva pagina di ricordi sugli ultimi anni e l'ultimo ritrovo dei vecchi macchiajoli toscani: \par \pard\fi283\sb567\sl240\slmult1\qj\fs24 ....Nella Via San Gallo, all'osteria del Volturno, i pi\'f9 bei tipi degli scapestrati dell'arte e della vita si adunavano seralmente. Compagnia quella era di gente sovversiva ed iconoclasta, e di tanto in tanto la vicina questura inviava l\'e0 dentro i suoi esploratori i quali con la scusa di giocare a briscola stavan tutti orecchi per poi riferire. E certo, quei carissimi referendari pensavan esser quello un covo rivoluzionario: udendo parlar della macchia dubitavano fosse quella del Tiburzi, ed ascoltando le discussioni sul divisionismo potevan credere volessimo stabilire un piano per dividere la propriet\'e0 privata! \par \pard\fi283\sl240\slmult1\qj C'eran tipi, oltretutto, aventi l'aspetto del ribelle classico: il buono e lacrimato Pellizza, nero vestito, barba incolta, sembrava Cipriani giovane; una squadra di livornesi, bastevole con i moccoli a vincere la fioca luce del gaz, era la scolta avanzata per le pi\'f9 arrischiate proposte che l\'ec per l\'ec potevan sorgere. La masnada completavasi con le modelle, capitanate da una bellissima bruna, ora moglie esemplare di chiarissimo scultore. \par Nel mezzo a cotesto bell'impeto giovanile amava mescolarsi Diego Martelli, simpatizzante per la Comune ed entusiasta degli impressionisti francesi; Silvestro Lega, al quale tal pandemonio doveva ricordare le sue cospirazioni romagnole; Telemaco Signorini, ansioso sempre del nuovo e dell'imprevisto, veniva per mangiare i fagioli in tuba e con un curioso vestito scozzese, e sempre allegro. Qual ricchezza di propositi e di pensiero e qual miseria nelle tasche! Il Lega diceva, ed era gi\'e0 vecchio, che allorquando arrivasse a possedere 300 franchi sarebbero avvenute grandi cose: due mesi in campagna, tre o quattro quadri; eppoi sarebbesi veduto di che cosa fosse capace il vecchio Lega. \par Signorini aveva minori pretese: a lui bastavano le assicelle pel Mercato Vecchio e per Settignano. Economo, perch\'e8 povero e galantuomo, avanti uscire dallo studio di piazza Santa Croce, col mazzettino di fiori all'occhiello, toglieva i resti dei colori dalla tavolozza, li adattava sopra una lastra di vetro che poneva in bagno, perch\'e8 il colore fosse utile pel domani. Il domani, a volte, poteva essere una incognita per lo stomaco, ma doveva esser sicuro pel lavoro e per l'arte. \par Giovanni Fattori, al Volturno, chiacchierava meno di tutti, sempre tranquillo e lindo da uomo per bene. Ma io che spesso lo incontravo uscir dalle case dove scendeva dal terzo o quarto piano per aver dato la lezione di disegno di un'ora come un povero maestro di pianoforte, conoscevo la sua interna angoscia, come conoscevo la sua felicit\'e0 domenicale allorch\'e8, libero d'ogni fastidio, chiudevasi per tutto il giorno nello studio sotto i tetti dell'Accademia, lavorando con furore mentre la musica sonava per gli oziosi gi\'f9 in Piazza San Marco. \par \pard\lang1040\f2 \par }